Tu non sei i tuoi pensieri!

Tu non sei i tuoi pensieri!

Tu non sei i tuoi pensieri! Quante volte ci capita di avere dei pensieri costanti e ricorrenti? Quante volte rimaniamo fissati in questo tipo di pensieri? Che valore diamo ai nostri pensieri? I pensieri che ricorrono in noi diventano la nostra storia e noi crediamo alla nostra storia come a qualcosa di assolutamente vero. Ma non sempre è così! La nostra storia è frutto dei nostri pensieri. Possiamo, però, andare a fondo della nostra storia imparando ad indagare i nostri pensieri, andando oltre la mente, attraverso le domande del lavoro di Byron Katie. Possiamo partire nell’indagine dei nostri pensieri dalla storia che ci raccontiamo e porci queste domande: analizzando i pensieri ci chiediamo, in riferimento ad un pensiero alla volta: questo pensiero è vero? posso dire con assoluta certezza che è vero? cosa provo quando credo a quel pensiero? chi sarei senza questo pensiero? Indagando i pensieri attraverso queste domande del lavoro di Byron Katie impariamo a sentire la differenza tra la verità e i nostri pensieri e riusciamo a divenire consapevoli degli effetti dei nostri pensieri. Bisogna sempre portare l’attenzione a cosa sentiamo, perché ogni pensiero produce un cambio fisiologico e delle emozioni e delle sensazioni specifiche. Gradualmente impareremo a disidentificarci dai nostri pensieri e ad andare oltre la fiducia che accordiamo alla nostra mente. E tu, chi sei oltre i tuoi pensieri? Fammi sapere nei commenti, Antonio
Proiezione: quali parti di me non vedo?

Proiezione: quali parti di me non vedo?

Proiezione: quali parti di me non vedo? Cosa è la proiezione? Quali sono le mie parti interne che non vedo, che non riesco a vedere? Come funziona il meccanismo della proiezione? Potenzialmente siamo l’infinito. Ma, poiché il concetto stesso di infinito è di difficile comprensione per noi essere umani, per capire chi siamo, abbiamo bisogno di definirci. E per farlo, molto spesso, ricorriamo inconsciamente, al meccanismo della proiezione: abbiamo bisogno di parametri di valutazione circoscritti e limitati per poterci definire, in quanto riusciamo a vedere di noi solo una piccolissima parte del nostro essere infinito. Ma che fine fanno gli altri pezzi? Vanno sugli altri. Attraverso il meccanismo della proiezione, sia positiva che negativa, li proiettiamo, appunto, sugli altri, come un qualcosa che a noi non appartiene. Con il lavoro di Byron Katie possiamo iniziare a renderci consapevoli delle nostre dinamiche proiettive e lavorare sulla proiezione. Su chi proiettiamo ciò che non vediamo in noi? Quando non vogliamo vedere quello che abbiamo dentro, sia le parti ‘belle’, quelle luminose, sia le parti più ‘cupe’, tendiamo a proiettarle sull’altro. La domanda che dobbiamo iniziare a porci è: quando attiviamo il meccanismo della proiezione? Pensate a quando siamo innamorati, in questa occasione proiettiamo sull’altro tutto ciò che di bello non riusciamo a vedere in noi. E quando, invece, proiettiamo le nostre parti più cupe? Quando accusiamo l’altro, quando ci arrabbiamo con l’altro, quando parliamo male dell’altro. Nel lavoro di Byron Katie impariamo a fare un lavoro diverso, che ci aiuta a renderci consapevoli della proiezione che mettiamo in atto e in che modo possiamo integrare anche le parti che pensiamo non ci appartengano. E tu, su chi proietti chi ciò che non vedi in te? Fammi sapere nei commenti, Antonio
Vuoi avere ragione o vuoi essere felice?

Vuoi avere ragione o vuoi essere felice?

Vuoi avere ragione o vuoi essere felice? Tu non mi capisci! Tu non mi stai accettando! Tu non mi comprendi! Quante volte ci capita di utilizzare questo linguaggio nei nostri conflitti? Spostiamo sull’altro la responsabilità del conflitto, difendendo le nostre ragioni ad ogni costo. Ma vogliamo avere ragione o essere felici? Quando ci relazioniamo agli altri, soprattutto nei conflitti, tendiamo a voler avere ragione e ad imporre all’altro la nostra visione delle situazioni. Ogni accusa che rivolgiamo all’altro, però, possiamo allo stesso modo rivolgerla a noi stessi. E’ sempre di noi che si parla! Utilizzando le domande sul rigiro del lavoro di Byron Katie possiamo arrivare a comprendere che quando vogliamo difendere le nostre ragioni, quando vogliamo esercitare potere e controllo sull’altro, accusandolo, stiamo in realtà definendo noi stessi.. Crediamo di avere ragione, senza ascoltare realmente le ragioni dell’altro, e lo accusiamo di avere certi atteggiamenti negativi che sono gli stessi che abbiamo noi e che non vediamo. Questo modo di fare va a discapito della nostra felicità. Questo ci rende davvero felici? Questo modo di comportarci ci aiuta a sviluppare realmente la nostra felicità? E’ davvero importante avere torto o avere ragione? E tu, vuoi avere ragione o essere felice? Fammi sapere nei commenti, Antonio
Il processo di ascolto: quando l’ascolto è profondo?

Il processo di ascolto: quando l’ascolto è profondo?

Il processo di ascolto: quando l’ascolto è profondo? Cosa è l’ascolto? Quando l’ascolto è profondo? Come faccio a capire che sono in un processo di ascolto profondo? Siamo capaci di ascolto? Se ognuno ascolta se stesso, la risposta non è così semplice e scontata come può sembrare. L’ascolto è un processo, qualcosa di dinamico, un’attività, che appunto procede da un punto verso un altro punto. L’ascolto profondo richiede un ulteriore impegno. Quello di entrare in contatto, innanzitutto con noi stessi, andando oltre il nostro ego. Quando diamo ascolto al nostro ego, mettiamo in pratica il nostro copione, che si incontra (e scontra) con il copione dell’altro: ego contro ego, copione contro copione, l’ascolto diventa impossibile. Per spezzare questo meccanismo è necessario entrare in ascolto profondo, che non significa semplicemente ascoltare le parole dell’altro, ma anche i suoi silenzi, i suoi occhi. Nel processo di ascolto, andando oltre l’ego, io vado oltre il bisogno di approvazione, di ammirazione, di giudizio positivo dell’altro nei miei confronti; mi do il permesso di essere, di essere me stesso e, dando a me questo permesso, io lo do automaticamente anche all’altro. Così l’ascolto diventa uno scambio tra anima e anima, da cuore a cuore. E’ in questo modo che possiamo iniziare a vedere le persone per quello che realmente sono, senza scatenare il nostro ego contro l’ego dell’altro e andando oltre i copioni relazionali. E, concretamente cosa fare quando ascoltiamo? Quando vi viene questa domanda a parlare è l’ego, perché sente il bisogno di imparare a fare un’azione per poter dimostrare di saper ascoltare. Quando ascoltiamo dobbiamo semplicemente fare una sola azione: ascoltare! Quali sono le volte in cui hai fatto esperienza dell’ascolto profondo? Fammi sapere nei commenti, Antonio
Scelta o scegliere?

Scelta o scegliere?

Scelta o scegliere? Esiste la scelta? Come fare una scelta? Come si fa a fare una scelta? Spesso ci capita di rimanere bloccati in alcune situazioni, perché non sappiamo fare una scelta. Difronte alle infinite possibilità di scelta, restiamo fermi, non riusciamo a scegliere. Perché? Perché non esiste LA scelta! Esiste lo scegliere. Lo scegliere è un flusso, un qualcosa che si manifesta in divenire, che scorre, come un fiume. Di fatto, noi scegliamo di continuo; facciamo micro scelte ogni momento, alcune sono più consapevoli, altre meno. Arriva, poi, un momento in cui lo scegliere, che è un flusso sempre possibile e sempre con nuove scelte, si trasforma nella scelta – si chiama tecnicamente ‘nominalizzazione’, cioè un azione attraverso cui racchiudo un processo in un nome statico – come se prendessi l’acqua del fiume e ne facessi un blocco di ghiaccio. Quando accade questo, cioè che lo scegliere diventa LA scelta, inizia un altro processo che blocca il flusso. E non riusciamo ad andare avanti e difronte alla scelta ci blocchiamo. In realtà, la scelta vera è stare nel flusso delle piccole scelte. Per uscire da questo tipo di blocco, possiamo chiederci qual è la più piccola cosa concreta che possiamo fare per andare nella direzione di ciò che vogliamo. In questo modo, facendo un piccolo passo alla volta, restiamo nel flusso della scelta, nello scegliere e possiamo uscire dai nostri blocchi. Qual è la più piccola e concreta azione che puoi fare per passare dalla scelta allo scegliere? Fammi sapere nei commenti, Antonio
Io devo! Quanto i tuoi ‘devo’ ti limitano?

Io devo! Quanto i tuoi ‘devo’ ti limitano?

Io devo! Quanto i tuoi ‘devo’ ti limitano? Io devo essere perfetto! Io devo essere forte! Io devo essere un buon genitore! Io devo fare bene ogni cosa! Quante volte volte ti capita di pensare in questi termini? Quanto i tuoi ‘devo’ ti limitano? Spesso nella nostra mente spuntano questo generi di pensieri sul ‘dovere’: devi essere perfetto, devi essere performante, devi essere buono, devi essere un bravissimo genitore ; insomma, un elenco lunghissimo di doveri, che riguardano i più diversi aspetti della nostra vita: lavoro, vita privata, rapporto con noi stessi. Ci carichiamo di veri e propri obblighi ad essere e a fare, che ci tolgono la libertà, perché limitano la nostra volontà e possibilità di scelta. Ogni parola che utilizziamo nel nostro modo di parlare ha un peso, un potere. Dire ‘io devo’ ci incastra in emozioni come rabbia, frustrazione ed ansia, in quanto vorremmo essere diversi da ciò che siamo. Utilizzando le quattro domande del lavoro di Byron Katie possiamo ampliare il nostro punto di vista rispetto alle doverizzazioni e renderci conto che i devo che ci limitano sono dei pensieri e che possiamo imparare, cambiando il linguaggio, a cambiare anche le sensazioni e le emozioni ad essi legate.