Comunicazione: perchè reagiamo così?

Comunicazione: perchè reagiamo così?

Comunicazione: perchè reagiamo così? La comunicazione con l’altro è lo specchio della comunicazione che abbiamo con noi stessi. Che linguaggio utilizziamo con noi stessi? Quale con gli altri? Che tipo di comunicazione utilizzi? Il nostro linguaggio influenza come ci sentiamo. Conoscere i nostri schemi interni, i nostri canali comunicativi preferenziali, quelli che usiamo più spesso, è fondamentale per imparare a comunicare in modo efficace. Per imparare a farlo, è necessario partire dalla distinzione delle tre aree del cervello che vengono chiamate in causa, in quanto essere umani, nelle nostre relazioni. *Cervello rettiliano, è quella parte che assolve solo ai compiti di base, gestisce gli istinti primari ed ha il compito di assicurare la sopravvivenza. *Cervello mammifero, invece, si preoccupa di bisogni più complessi, come la socialità, la gestione delle emozioni, i sentimenti e l’attaccamento. *La neocorteccia, infine, è la sede del ragionamento, del comportamento sociale, della regolazione emotiva e del linguaggio evoluto. Conoscere questa distinzione ci permette, se lo comprendiamo, di capire che la comunicazione agisce a più livelli. Noi molto spesso confondiamo i livelli. Quando vogliamo produrre cambiamento in noi e negli altri, dobbiamo aver presente questa ripartizione e quale livello viene chiamato in causa nella nostra comunicazione. Cosa accade nella comunicazione? Quali effetti produce una frase semplice dentro di noi? A cosa reagiamo? La maggior parte delle nostre reazioni emotive dipende da quali canali comunicativi attiviamo. In ogni comunicazione ci sono i seguenti canali: – Le aspettative che io penso abbiano su di me – Il giudizio su di me – Le Informazioni che l’altro dà di sé – Che relazione si instaura tra me e l’altro In ogni scambio questi 4 elementi vanno tenuti d’occhio, perché se siamo su canali diversi non ci ritroviamo, se invece impariamo a sintonizzarci, miglioriamo la nostra comunicazione e, quindi, anche le nostre relazioni. E tu, quale canale comunicativo utilizzi maggiormente? Fammi sapere nei commenti, Antonio
Comunicazione qual è il tuo canale comunicativo primario?

Comunicazione qual è il tuo canale comunicativo primario?

Comunicazione qual è il tuo canale comunicativo primario? Qual è il canale comunicativo che utilizzi principalmente? Come leggi la comunicazione con l’altro? La comunicazione è un mondo complesso, in cui entrano in gioco tantissimi fattori diversi. Possiamo vedere il mondo della comunicazione attraverso quattro parametri, che utilizziamo anche come filtri nella nostra stessa comunicazione. Questi parametri, che compongono il cosiddetto quadrato della comunicazione, sono contenuto, relazione, appello e rivelazione di sè. A seconda del canale comunicativo che utilizziamo, noi diamo una lettura diversa del messaggio che ci arriva. Ovvero, diamo uno specifico significato a seconda di come leggiamo il messaggio ricevuto, in base al canale che utilizziamo. Il punto è capire, per iniziare a conoscersi sempre meglio, quale di questi canali utilizziamo e sfruttiamo per soddisfare uno dei bisogni principali degli esseri umani: quello di essere amati. Ed è proprio attraverso il nostro mondo comunicativo che possiamo arrivare ad una profonda consapevolezza dei nostri meccanismi interni. Spesso, infatti, invece di contestualizzare siamo sulla relazione e drammatizziamo. Facciamo di un particolare piccolo la definizione della relazione. E diciamo, o meglio accusiamo, l’altro di non capirci. Conoscere quale canale comunicativo utilizziamo nella nostra comunicazione diventa quindi fondamentale per migliorare proprio la nostra comunicazione e quindi le nostre relazioni. E tu, quale canale comunicativo utilizzi maggiormente? Fammi sapere nei commenti, Antonio
Smascherare l’ego e i suoi giochi

Smascherare l’ego e i suoi giochi

Smascherare l’ego e i suoi giochi Roberto ci racconta la sua esperienza con l’ego! L’esperienza di Roberto è un’esperienza molto forte. Attraverso il suo racconto, ci spiega come è arrivato a smascherare l’ego e i suoi giochi. L’ego è sempre in agguato, pronto a difendersi e a difendere ciò che vede come un pericolo. Cosa possiamo fare? Ciò che ci può salvare, secondo Roberto, è partire dall’auto-osservazione: quando sentiamo dentro di noi di aver ragione, quando vogliamo difendere le nostre ragioni a tutti i costi, quello è il momento di iniziare a lavorare su di noi, perché siamo nell’ego. Calandoci nelle nostre emozioni e nella nostra sofferenza, possiamo renderci consapevoli di tutti i giochi dell’ego. Per smascherare l’ego e i suoi giochi, occorre imparare anche a prendersi la responsabilità e sostituirla al concetto di colpa, che altro non è un ennesimo gioco dell’ego. Grazie a Roberto per la sua condivisione.
Hai ragione o sei pazzo?

Hai ragione o sei pazzo?

Hai ragione o sei pazzo? Quanto ti preoccupi di aver ragione? Come reagisci quando vuoi aver ragione a tutti i costi? Hai ragione o torto? E siamo sicuri che ragione e torto esistano? Tendenzialmente noi esseri umani vogliamo avere ragione. E siamo quasi sempre in difesa di quelle che sono le nostre ragioni. Questo si traduce in un comportamento fortemente egoico di giustificazione di noi stessi. Infatti, abbiamo sempre, ma sempre, una giustificazione per notare difetti negli altri e non notarli in noi, o notare e giustificarci, che è quasi peggio. Quello che ci manca è la flessibilità. abilità molto importante da allenare, per poter comportarci diversamente nelle situazioni in cui tendiamo a darci ragione e a giustificarci. Abbiamo la percezione che le nostre cose valgano sempre molto di più, che i nostri pensieri e il nostro modo di vedere e gestire le cose sia migliore rispetto a quello degli altri. Per questo è importante imparare a riconoscere le nostre difese. guardaci in un modo quanto più oggettivo possibile, come se fossimo inquadrati da una telecamera. Più ci diamo ragione, meno possiamo stare bene e siamo sani. Proviamo a notare se riusciamo a dire onestamente le cose su noi stessi, anche quelle che non vogliamo ammettere che ci riguardano perchè sono ‘brutte’. Per un lavoro di evoluzione personale onesto valutiamo quanta ragione vogliamo darci. Meglio una persona inconsapevole, rispetto ad un’altra che trova sempre i motivi ‘giusti’ per i suoi comportamenti e i motivi ‘sbagliati’ per gli stessi comportamenti degli altri. E tu, vuoi avere ragione o vuoi crescere? Fammi sapere nei commenti, Antonio
Compiacenza e maschera: ma io sono buono!

Compiacenza e maschera: ma io sono buono!

Compiacenza e maschera: ma io sono buono! Cosa è la compiacenza? Cosa vuole dire essere compiacenti? Molto spesso siamo compiacenti e scambiamo la nostra compiacenza con la bontà. Essere compiacenti vuol dire essere accondiscendenti credendo di fare piacere all’altro. In realtà, lo facciamo per piacere all’altro. E per apparire buoni. La nostra compiacenza è una strategia per sembrare buoni. Ma è facile sembrare buoni se non si esprime se stessi; o almeno questo crediamo. In realtà, però, è quando siamo veri che siamo in relazione. La compiacenza si paga con l’isolamento. Le relazioni apparentemente vanno benissimo. Ma interiormente sentiamo una fatica e una solitudine dolorosissimi. Non riusciamo a condividere con nessuno. Cosa possiamo fare? Innanzitutto, possiamo vedere la nostra compiacenza, a partire da come ci sentiamo. Possiamo imparare a riconoscere che siamo nella maschera della compiacenza, che ci allontana da noi stessi, dalla vera intimità nelle relazioni e dalla libertà. La compiacenza è negarsi la possibilità di entrare in relazione. Quanto sei compiacente? Quanto sei consapevole che la maschera della compiacenza ti toglie la possibilità di costruire relazioni autentiche? Fammi sapere nei commenti, Antonio
Convinzioni e programmazione inconscia

Convinzioni e programmazione inconscia

Convinzioni e programmazione inconscia Possiamo cambiare le nostre convinzioni? In che modo l’inconscio determina le nostre convinzioni? Ed in che modo possiamo agire sulla programmazione inconscia per intervenire sulle convinzioni? Cosa vuol dire aiutare gli altri? Aiutare gli altri significa dare nuove possibilità, aiutare ad ampliare la propria visione, senza però imporre il proprio punto di vista. Questo tipo di aiuto parte dall’ascolto, dal dialogo, dall’incoraggiamento e dal sostegno dell’altro. Quando siamo in una relazione d’aiuto possiamo agire sui filtri che vengono utilizzati, innanzitutto da noi stessi. I filtri più potenti sono il linguaggio e le convinzioni. Il linguaggio è un filtro perché descrive la realtà, anzi, potremmo dire che la costruisce. La maggior parte delle nostre esperienze sono inconsce e noi abbiamo la convinzione che la realtà creata sia vera. Molto spesso alla base delle nostre convinzioni c’è una programmazione inconscia. La storia che ci raccontiamo crea la nostra realtà. Per poterci orientare nella nostra realtà mettiamo delle etichette; ma quando diamo un’etichetta ci precludiamo di vedere l’intero e ci convinciamo di essere qualcosa o in un preciso modo in base alle etichette che abbiamo messo. La programmazione inconscia altro non è che la nostra realtà. Mettere le etichette significa creare delle convinzioni. Smontando le convinzioni si affronta la paura e la convinzione perde di valore nel tempo. Cambiare linguaggio vuol dire modificare la propria realtà. Il passo principale è riconoscere le nostre convinzioni per poterci lavorare, partendo dalla considerazione che i pensieri, ovvero le nostre convinzioni, si trasformano in parole, ovvero il linguaggio, che si traducono in azioni, comportamento, e le azioni diventano abitudini, che a loro volta diventano carattere e quindi il nostro destino. Si possono cambiare queste programmazioni inconsce? Si, cambiando il linguaggio oppure attraverso un’esperienza emotivo correttiva. Quindi si lavora sia sul linguaggio, sia sull’esperienza. L’unica persona illuminata è quella che offrendoti aiuto non crea dipendenza, Gesù non ha mai creato dipendenza, il Buddha non ha mai creato dipendenza. Aiutare davvero qualcuno significa sostenere e dialogare. Per quale fine? Per la libertà e l’autorealizzazione; quello è il fine dell’aiuto.