Sai già quanto e cosa comunica una stretta di mano?

Sai già quanto e cosa comunica una stretta di mano?

Eccoci a una nuova tappa del nostro percorso di sviluppo personale, Continuiamo a parlare di CNV Comunicazione Non Verbale. Ricordi la prossemica o gestione dello spazio intorno a noi? Bene ora ti faccio una domanda diretta: Hai mai prestato attenzione a come ti danno la mano in una prima presentazione? Mi riferisco in particolare a come e per quanto tempo vi stringono la mano, alla durata della stretta, a come tengono il braccio della mano che stringe, a cosa fa con l’altra mano, cosa fa con il corpo, e con gli occhi se vi guarda o non vi guarda etc. Pensa ora alle varie strette di mano, c’è chi la stringe fino a farti male, c’è chi non molla la presa, anche quando cerchi di lasciarla tu, c’è chi non mette nessuna forza lasciandoti la sensazione di avere nella tua mano qualcosa di inanimato…. e di solito umidiccio, c’è chi stringe la mano afferrando la tua e chi invece rimane in attesa che tu gliela prenda, c’è inoltre chi ti da la mano con il braccio steso e rigido come se fosse un’asta impedendoti di avvicinarti troppo, c’è poi chi da la mano con il braccio piegato e fa avanti e indietro come se stesse usando una sega e poi ti lascia la mano solo quando decide, C’è chi raddoppia con l’altra mano, chi mentre ti da la mano poggia l’altra sulla spalla, chi la da senza guardati, o peggio guarda un altro. E tu, la mano come la dai? Quanto ne sei consapevole? La dai a tutti nello stesso modo?   Nello sviluppo personale, cosa significa tutto questo? Quando diamo la mano, soprattutto la prima volta e ad uno sconosciuto la diamo per presentarci e iniziare ad instaurare una relazione. In questa presentazione, consuetudine culturale, non ci sono parole o argomentazioni logiche, è la componente non verbale, analogica ed emotiva ad avere il predominio nella comunicazione.   Ricordiamo che in un vero percorso di sviluppo personale, la consapevolezza della CNV, Comunicazione Non Verbale, è fondamentale.   Il corpo, nel caso della stretta di mano, attraverso la gestione degli spazi, la forza nello stringere, il modo di porgere la mano, il tempo di rilascio della mano etc. comunica per analogia il tipo di relazione che la persona intende avere con noi.   Ad esempio, stringere e non rilasciare la mano potrebbe indicare che la persona cerca di instaurare una relazione in cui vuole dominare su di noi, gestendo autonomamente, per analogia con stretta e tempo di rilascio, tempi e modi della relazione con noi.   Cosi come chi ci dà la mano con il braccio teso a mo di barriera impedendoci di avvicinarci e quindi gestendo le distanze prossemiche forse ci comunica in modo analogico che vuole gestire con noi la relazione mantenendo le distanze.   Così come, ad esempio, chi affida passivamente la propria mano all’altro cercando in questi direzione, forza nella stretta, distanza e altro suggerisce di desiderare una relazione nella quale assumere un ruolo subordinato: decidi tu, guidami e dammi la direzione!   Interessante è poi notare che in relazione al modo di porgere e stringere la mano c’è la reazione della persona a cui la si stringe: Può accettare e quindi assecondare il modo di stringere imposto, accettando in modo complementare la relazione. Pensa a quando l’altro ti tira leggermente verso di sè con il braccio e tu accetti e ti avvicini lasciandoti “trasportare” da lui. Può competere e quindi rifiutare simmetricamente il tipo di relazione. E’ il caso delle persone che competono nella stretta stringendo più dell’altro, oppure nel rilascio della mano, quando uno rilascia l’altro stringe e viceversa e il tutto per alcuni minuti. Fai ben attenzione: questo balletto fatto con le mani, i corpi e il loro linguaggio evidenzia per analogia la competizione emotiva e psicologica in atto nel gestire la relazione. Normalmente non siamo consapevoli del modo in cui diamo la mano o ce la danno, tutto quello che ho descritto avviene in modo spontaneo e inconsapevole. Capita che ce ne rendiamo conto solo quando stretta, distanze, rilascio etc esce dal nostro indice di tolleranza, quando cioè siamo sottoposti ad modo per inusuale di stretta di mano. Nel nostro percorso di sviluppo personale, solitamente invito a sperimentare quante più strette di mano possibile: identifica le tue reazioni alle diverse strette, prova a trovare le analogie con il tipo di relazione che si sta creando.   Divertiti poi a competere con i tipi di stretta non accettandola passivamente e registrate le reazioni.   Accresci il tuo sviluppo personale e renditi più consapevole della tua CNV, ma soprattutto il mio augurio sincero è divertiti ad esplorare!   Iscriviti alla nostra Newsletter , lascia la tua mail nel form in alto a destra, riceverai anche video lezioni gratutite di Comunicazione.   A prestissimo! 
Cosa deve assolutamente saper fare un ottimo comunicatore?

Cosa deve assolutamente saper fare un ottimo comunicatore?

Riprendiamo il nostro percorso di sviluppo personale In ogni comunicazione sono sempre presenti due componenti: relazione e contenuto! Trasmettiamo sempre su due canali EMOZIONI E INFORMAZIONI e sai quanto contano questi due canali? ATTENZIONE: il 93% della efficacia comunicativa è data dalle emozioni che riesci a creare nell’altro! Puoi avere le idee migliori…ma se non crei nell’altro le giuste emozioni, queste idee non passeranno! La Pragmatica della comunicazione umana, la scienza che studia gli effetti che la comunicazione produce in noi esseri umani, ci fornisce insegnamenti davvero interessanti e soprattutto utili nella vita quotidiana. Che tu voglia o no, ogni volta che semplicemente sei in presenza di un’altra persona comunichi e modifichi il suo stato d’animo! Sì, siamo come delle trasmittenti sempre accese e influenziamo gli altri non con le informazioni che trasmettiamo, con le parole che utilizziamo ma soprattutto con le emozioni che creiamo in lui    Voglio condividere con te due video estratti da un corso di Sviluppo Personale e Comunicazione Efficace, spero possano chiarirti bene questi aspetti: 1) è impossibile non comunicare = Comunichiamo sempre! 2) In ogni comunicazione sono presenti sempre due componenti RELAZIONE E CONTENUTO = le emozioni contano al 93% Ti invito a vedere i due video che seguono con calma e a lasciare un tuo sincero commento! Iscriviti alla newsletter, lasciando nome e email nel form che trovi in alto a destra e riceverai tutti i video e audio post in anteprima! Splendida Giornata a te!    
Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare… o la comunicazione?

Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare… o la comunicazione?

Continua il viaggio nello sviluppo personale. Ciao, ti è mai capitato di avere in testa un’idea che vuoi realizzare ma che non sai ben definire? (” Vorrei ritagliare degli spazi da dedicare a me stesso, cimentandomi in un hobby”). Oppure di avere degli obiettivi da raggiungere ma non riuscite a definirne i tempi o le risorse? (” Devo studiare per un esame/concorso/prova d’ammissione.Come mi organizzo? Quanto tempo ho a disposizione e quanto me ne servirebbe?”). Vediamo nel dettaglio qual è il percorso di un’idea. Il pensiero creativo e il linguaggio si uniscono e si mescolano fino a formare un’immagine più nitida e riconoscibile: un’IDEA, appunto. Inizialmente abbiamo bisogno di definirla, di inquadrarla, per cominciare a disegnare il suo percorso verso l’APPLICAZIONE concreta, che porterà ad un RISULTATO  e ad un probabile successo. (vedi Post sulla Motivazione e strategia di Walt Disney) Comunicare con noi stessi è un’operazione inevitabile che facciamo continuamente. Comunicare bene con noi stessi per definire obiettivi, idee e per valutare i nostri risultati costituisce uno strumento utile e di facile utilizzo: non ci poniamo forse domande tutti i giorni? “Meglio acquistare questo o quel vino? Scelgo la strada più lunga ma più scorrevole o quella più breve ma più trafficata?”. Siamo degli abili problem solver ma non sappiamo di esserlo! (vedi Post con Video sul Problem Solving) Costantemente dialoghiamo con noi stessi, ci immaginiamo degli scenari futuri, interrogandoci su quale possa essere la soluzione migliore: è proprio questo tipo di comunicazione che andremo ad analizzare nei post successivi, con l’obiettivo di fornire chiari e semplici strumenti da poter riutilizzare nella quotidianità. Iniziamo da subito! Seguendo lo schema riportato nella figura sottostante, traccia una mappa che abbia gli stessi punti: IDEA, OBIETTIVI, APPLICAZIONE E COMUNICAZIONE. Al centro della mappa, anziché trascrivere il titolo DAL DIRE AL FARE, inserisci un’idea che di recente avete nella testa: un progetto da realizzare, da modificare, o perché no, anche da estinguere. Racchiudi quell’idea in una sola parola chiave (es. ESAME, HOBBY, LAVORO). Seti viene in mente più di un’idea puoi creare anche più mappe con gli stessi punti. Ora siamo pronti per partire! Quanto ti interessa questa tematica? Scoprilo fino in fondo, Iscriviti alla newsletter lasciando semplicemente nome e email nel form che trovi in home page, per riceverne tutti gli aggiornamenti! Questo post introduce una nuova sezione intitolata appunto “TRA IL DIRE E IL FARE C’è DI MEZZO IL MARE (O LA COMUNICAZIONE?)” che si occuperà di analizzare ogni tappa del percorso di un’idea, partendo dal punto di vista della comunicazione. Buona lettura, L’autrice: Sara Barone
Sai mantenere le “giuste” distanze dagli altri?

Sai mantenere le “giuste” distanze dagli altri?

Sempre in cammino sul nostro percorso di sviluppo personale. Sai che ognuno di noi influenza, attraverso la gestione dello spazio, la propria emotività e quella degli altri? Hai mai osservato attentamente il tuo corpo quando sei con gli altri? Ti sei mai reso conto che tra noi e gli altri tendiamo a mantenere spontaneamente e inconsciamente una distanza, uno spazio che va dal contatto fisico fino a più di due metri. Quando dialoghiamo con un amico, pensiamo a quale distanza da lui ci poniamo con il nostro corpo, è importante! E’ semplice, se non lo ricordi prova ad avvicinarti a un tuo amico e quasi per magia vedrai che il tuo corpo, senza un comando volontario, si fermerà a una distanza molto precisa. Quella è proprio la distanza che per te è inconsapevolmente “OK”. Osserviamo inoltre che anche il nostro amico ha una distanza specifica, che desidera avere con noi, e se quella posta da noi non è per lui “OK”, la varierà. Questa potrebbe però per noi non essere più “OK” e quindi varieremo la nostra fino a che per piccoli spostamenti e aggiustamenti di entrambi, non ci si accorderà inconsapevolmente su una distanza condivisa. Questa distanza è talmente importante che se proviamo ad allontanarci di un solo passo ci accorgeremo, questa volta consapevolmente, che qualcosa non va; avvertiremo qualcosa d’innaturale, le stesse sensazioni che proverremmo se ci avvicinassimo di un passo o fino al contatto fisico. La cosa importante che ti invito a sperimentare è come le distanze variano in relazione agli amici, al grado di conoscenza e intimità che si è instaurata, ai ruoli sociali alle differenze di sesso. Con il nostro partner, ad esempio, la distanza OK è quella del contatto! Bene, prova ad aumentarla senza dirgli nulla.  Probabilmente, tenderà ad avvicinarsi, ma se insisti, da reazione inconsapevole passerete ad azioni consapevoli e ti chiederà spiegazioni per quel comportamento. Che cosa è, dunque, questa distanza? Tutti noi, intorno al nostro corpo abbiamo uno spazio, un apparente vuoto che ci avvolge, ci separa e ci protegge dal resto del mondo. Lo spazio che ci separa dagli altri è uno spazio mentale che esiste nella nostra mappa del mondo ed è chiamato spazio prossemico o bolla prossemica perché si sviluppa tutta intorno a noi come una sfera. Lo spazio che sussiste tra noi e gli altri non è neutro. Se, infatti, una persona si avvicina ”troppo” a noi, cominciamo a sperimentare particolari sensazioni come ad esempio “fastidio” o “imbarazzo” e reagiamo di conseguenza ripristinando le “giuste” distanze. Così come, se si allontana “troppo” da noi. Il più delle volte comunichiamo, agiamo e reagiamo, mettiamo e ripristiniamo distanze, senza esserne consapevoli. Secondo gli studi, le distanze relazionali possono essere condensate in tre gruppi, intime da 0 a circa 30 cm, amicali fino a circa 1 metro, fino ai 3 metri sociali, oltre questo limite non si registra influenza. Vedi anche cosa comunica la stretta di mano. Le applicazioni pratiche sono molteplici, pensiamo a quanto, per entrare in rapporto con una persona, sia importante rispettare le sue distanze: se ci avviciniamo troppo, o troppo poco, potrà pensare ad esempio che “a pelle” non siamo simpatici. Ora che ne sei consapevole, gioca, divertiti, sperimenta le distanze e nota come puoi generare sensazioni positive “trovando e rispettando” la distanza “OK” del tuo interlocutore… o puoi generare sensazioni negative “non cogliendo o non rispettando” la distanza “ok” del tuo interlocutore. Facci  sapere come va! Lascia subito un commento per dirci quanto sei interessato a questi argomenti, aiutaci a fornirti sempre argomenti interessanti e utili per te!
Sappiamo amarci per ciò che siamo?

Sappiamo amarci per ciò che siamo?

Parliamo di amore e sviluppo personale Quando penso al come si crea la nostra crescente incapacità di amarci mi viene in mente l’infanzia e vedo delle immagini precise: sei intento a goderti il tuo tempo…  gli adulti, con le migliori intenzioni e solo per il tuo bene, in alcune situazioni ti trattano come un essere incapace di esistere, proteggendoti persino dall’aria (Ah, questo è davvero un toccasana per quella che circa venti anni dopo sentirai chiamare   autostima!). Nella restante parte del tempo però, le cose migliorano alla grande: si mettono tranquilli e ti insegnano ad essere competitivo, a vincere, a piacere a tutti, a tacere quando vorresti dire qualcosa ma loro sono impegnati e a parlare quando non hai nulla da dire ma gli ospiti vogliono sentire la tua vocina. Tutti lo abbiamo vissuto dai, ricordi? “Di’ ciao all’amico di papà…Non essere il timido”, “Fa sentire a tutti come conti fino a dieci!”. Tu butti in fuori il labbro inferiore, guardi tutti, ti senti leggermente osservato, sorridi e “Uuuuno… Duuue… trrrreeee…”, inizia lo show! Poi tutti battono le mani. In quel momento tutto ti è chiaro. Hai dai tre ai quattro anni e capisci la vita: “Mmmh, funziona così” ti dici sornione“allora, quando faccio ciò che gli altri si aspettano, loro mi battono le mani, i miei genitori si illuminano d’immenso, tutti mi riconoscono e io sono felice…figooo!!”. Poi ci meravigliamo che uno a quaranta anni ti dica: “Mi sento distrutto, per quanto ci provi deludo le aspettative degli altri, mi sento un fallito, non so più cosa fare!”. Tu vorresti dirgli: “Mettiti in piedi su una sedia e conta fino a dieci!” ma in cuor tuo sai che a quell’età è più difficile che lo applaudano. Infondo, però, lui non sa di essere il fortunato perché tu sei quello che ha continuato a contare fino a dieci per un’intera vita e, a cinquanta anni, confessi a un amico: “Gilberto, io ho frequentato le scuole dalla materna fino al Master post laurea, ho praticato atletica e nuoto, suono bene il pianoforte; sono sempre stato il primo tranne che alla gara di pattinaggio, quando avevo sei anni… ma papà mi spiegò prontamente che l’altro bambino era raccomandato. Gilberto, ho scelto la moglie migliore e amici con nomi come il tuo, sono invidiato da tutti…Una sola domanda voglio farti: Perché non sono felice?”. Troppo tardi, caro Ermenegildo, non dovevi contare fino a dieci! Se inizia lo show, tu continui a cercare l’applauso e che tu lo ottenga o no sei fregato! Pensaci bene: se hai figli o stai pensando di averne, pensa bene a come farli sentire apprezzati per ciò che sono, liberi! Non chiedergli mai di iniziare lo show! Pensa adesso se un figlio di cinque anni ti chiamasse nella stanza e ti dicesse la stessa cosa. “Dai papà/mamma di’ ciao alle amichette di tua figlia… Dai fai sentire la vocina…Fai ciao con la manina…di’ ciao bambine io torno nel mio studietto a lavorare…” Come ti sentiresti? Ma… allora perché un bambino non si deprime? Potremmo dire molte cose. Forse si deprime ma ne esce subito dopo. È curioso, cerca soluzioni, vive il presente, non ha grosse attese per il futuro tranne l’istinto di sopravvivenza. Perché non sa tutto quello che noi sappiamo. Perché non è consapevole o forse perché è totalmente consapevole. Perché vive il presente e non si sforza di fermare il tempo, di immobilizzarlo. Se perde una partita piange o ride ma dopo poco ne inizia un’altra e gioca. Segue il flusso. Non gioca la nuova partita pensando che deve recuperare quella precedente…gioca…gioca…gioca una sola partita, quella che sta giocando…gioca…si diverte è la vita è là. Bene ora fai semplicemente questo piccolo esercizio: ovunque tu sia, fermati un attimo… n o t a: Quanti colori ci sono intorno a te? Quanto è forte la luce che ti sta avvolgendo in questo preciso istante? Come stai respirando in questo preciso istante? Che cosa stai provando in questo preciso istante? Quanto sei consapevole del calore del tuo corpo? Dei suoni sottili presenti in questo preciso istante? Capisci di cosa parlo? Il famoso QUI ED ORA! Essere presenti a se stessi, consapevoli, svegli, vivi! Di questo parleremo bene in un prossimo post dedicato al nostro rapporto col tempo.   Un tema che troppo spesso non si tocca, perché ritenuto scomodo e poco utile è la differenza tra amore incondizionato e amore condizionato.  Abbiamo, però, una pallida idea di quanto questo faccia la differenza nella nostra vita quotidiana? Pensiamo un attimo a quanto e soprattutto a quando stiamo bene: Quando riusciamo a fare tutto e bene Quando gli altri ci gratificano Quando riusciamo a soddisfare le attese altrui. Quando ci sentiamo accettati Capiamoci, tutto questo va bene, certo non potrebbe dispiacere nessuna delle situazioni precedenti anzi… Ma se queste situazioni diventano condizioni ? e se poi si trasformano in condizioni necessarie per sentirci degni di amore, sereni e grati? Beh, direi che la cosa si complica un po’. Quando penso al come si crea questa sempre maggiore incapacità di amarci (e dunque amare) senza condizioni di distinguere ciò che siamo da ciò che facciamo di smettere di essere vittime delle nostre performance di sentirci amati e degni di benessere incondizionato mi viene in mente l’infanzia e vedo delle immagini precise…. Lascia un commento qui sotto, fammi sapere cosa ne pensi. Splendida giornata a te!
Sai leggere negli occhi degli altri?

Sai leggere negli occhi degli altri?

Godiamoci un’ altra tappa del nostro viaggio nello sviluppo personale. Lo sai che gli occhi hanno un vero e proprio linguaggio. Se impari a leggerlo puoi davvero scoprire tanto. Se osservi intensamente gli occhi di una persona che racconta una storia vedrai che questi si muovono, vanno in alto, in basso, a destra, a sinistra, si fermano al centro e si dilatano le pupille. Osservando con attenzione vediamo che gli occhi non vanno semplicemente in alto e in basso, ma possono andare in alto a destra o sinistra e in basso a destra o sinistra. Questo movimento degli occhi viene tecnicamente indicato con l’acronimo L.E.M. Lateral Eyes Movement. Sembra un movimento puramente casuale….ma non lo è. Il movimento segue una regola, c’è un modello, un preciso schema neurologico che descrive perfettamente il processo mentale che la persona sta seguendo. Ci indica con estrema precisione se una persona sta pensando per immagini, sensazioni e suoni. Cioè se sta vendendo qualcosa nella sua mente, si sta dicendo qualcosa o è concentrato su una sensazione fisica. Il movimento degli occhi ci indica inoltre se sta ricordando o immaginando. Se sta cercando delle informazioni o sta entrando in uno stato di trance. Interessante e stupefacente vero? Verifichiamolo concretamente. Vuoi scoprire se una persona mentre ti risponde ricorda o inventa? Bene…vediamo come fare. Trova una persona e fagli delle domande: comincia col fare delle domande che richiamino immagini ricordate, poi ne farai per quelle costruite. Ad esempio chiedi qualcosa che deve ricordare: di che colore è la tappezzeria della sua macchina, di che colore sono le tende della sua casa, di che colore sono gli occhi di sua madre. Chiedigli di vederli nello stesso momento in cui glielo chiedi. Osserva dove gli occhi si collocano quando ti da la risposta e annotalo. Poi fai domande riguardo a cose che la persona non ha mai visto e che dovrà obbligatoriamente costruire nella sua mente, immaginare. Ad esempio che aspetto avrebbe se si colorasse i capelli di rosso; come sarebbe casa sua con un arredamento del 700. Chiedigli di vederlo nella sua mente, verifica il movimento degli occhi, dove vanno le pupille (es. alto a sinistra) e annotalo. Poi passa a fare una serie di domande auditive cioè sui suoni: suoni ascoltati, che può ricordare e suoni costruiti con l’immaginazione. Chiedigli di ascoltare la voce di suo padre che lo chiama con insistenza, di ascoltare in mente la sua canzone preferita (ricordati). Chiedigli poi di ascoltare la voce di un suo amico e di trasformarla in quella di paperino (costruito). Annota dove gli occhi si posizionano quando li ascolta e fa l’esperienza. Bene, passa a sondare l’esperienza cenestesica cioè quella delle sensazioni fisiche. Chiedigli come si sente la mattina appena sveglio, come percepisce i suoi muscoli. Annota anche ora dove posizionano gli occhi. Gli indizi non verbali che la persona ti offrirà, cioè i movimenti oculari, dove vanno le pupille, saranno sistematicamente diversi, in relazione alle differenti domande che hai posto. La diversità è in relazione alle immagini, ai suoni e alle sensazioni. E ancora se le immagini e i suoni sono ricordati o costruiti con la fantasia. Lo schema tracciato per la prima volta dai ricercatori in Programmazione neurolinguistica è il seguente, gli occhi vanno: In alto per le immagini: in alto a destra per le immagini costruite e in alto a sinistra per quelle ricordate.  Ai lati per i suoni: a sinistra per quelli ricordati e a destra per quelli costruiti. In basso per le sensazioni corporee. Questo schema o linguaggio degli occhi ci permette di capire se la persona sta pensando per immagini, suoni o sensazioni, se li sta ricordando o costruendo. Pensa se chiedo di dirmi dove è stato  ieri sera, potrò capire se sta ricordando i posti in cui è stato o se sta inventando quei posti! Interessante vero? Attenzione, attenzione a fare le domande giuste, se vuoi verificare con esattezza il muoversi degli occhi in relazione alle tue domande chiedi con esattezza di vedere, ascoltare o provare delle sensazioni. Riprova ora l’esercizio esposto in precedenza, annota il movimento oculare, annota se vede, ascolta o sente “con la mente” e chiedi al tuo interlocutore di confermare la tua annotazione. Buona scoperta e….leggi negli occhi degli altri. Aiutaci a offrirti sempre il meglio, scrivi adesso un commento dicendoci quanto è interessante questo argomento per te.